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Le foto mai scattate

La storia si ripete. Michele dice che studiarla ci permetterebbe di non lasciarci condizionare dall'emotività e così potremmo guardare al presente con occhio più critico. Lo dice mentre il vento freddo da ovest accompagna un pallido sole al tramonto sul prato smeraldino e fradicio di Birkenau. Gli scheletri dei camini mai usati delle baracche punteggiano la spianata. Il filo spinato si perde sino ad un punto invisibile al mio occhio. Questo è il luogo dell’iperbole dell’invisibile. Solo un piccolo bosco chiude l’orizzonte del mio sguardo. Oltre gli alberi c’erano i forni crematori 2 e 3. Uscendo da Auschwitz mi sono sorpreso a pensare che tanta scientifica malvagità, tanto spregio dell’umanità rendeva persino ai miei occhi, questa vera e propria industria dell’orrore e della disumanità...incredibile. Solo lo spregio di qualsiasi senso di pietas ha potuto rendere così crudele ed efficiente l’ingegnerizzazione e la contabilità di un simile sterminio. Questo è l’abominio del vaso di Pandora di tutti gli stermini, il punto drammaticamente più alto e quello che più sconvolge, non certo l’unico o l’ultimo. Michele ci ha dimostrato che i più fortunati potevano, soprattutto a Birkenau, se vecchi o malati impiegare non più di un’ora nell’inverno del ‘44 per passare dal carro ferroviario alla camera a gas. “...vecchio, di là,a sinistra ! Alle docce, poi alle baracche…” massimo un’ora e lo Zyklon B avrebbe lavato via un corpo inabile al lavoro ed aggiunto un numero alla soluzione finale. Chi invece andava a destra entrava all’inferno, se fortunato per qualche settimana, qualche mese sarebbe stato insopportabile. Sono venuto qui dopo essere passato da Dacau, un paio di anni fa. Avevo maturato il desiderio di misurarmi con l’obrobrio della parte oscura dell’anima umana. Cercavo l’uomo, oppure lo fuggivo. Avevo in animo di farlo con le foto ma Auschwitz e Birkenau mi hanno ammutolito col loro silenzio, che è diventato silenzio di dentro, quello che soffoca la capacità di esprimersi. Sono stato incapace, chiamato a misurarmi iconograficamente con l’eclissi totale dell’umanità, di esprimerne una narrazione. Chi ama la fotografia deve saper scattare o togliere il dito dal bottone con la stessa lucida capacità. Riparto da Auschwitz senza immagini ma con più coscienza che noi e nessun'altro siamo chiamati ad essere attori del destino pur anonimi ed invisibili alla storia, come le centinaia di migliaia di vite cancellate qui ; ebrei, russi, polacchi,rom,intellettuali, religiosi, oppositori. Erano 23 le lingue parlate nel campo ed in queste è scritto il monito sulla pietra del memoriale. “Grido di disperazione ed ammonimento all’umanità sia per sempre questo luogo dove i nazisti uccisero circa un milione e mezzo di uomini, donne e bambini principalmente ebrei, da vari paesi d’Europa” Il mio silenzio di immagini è per tutti i morti ammazzati con crudeltà che accomuna in una spirale spaventosa del tempo vittime e carnefici. In quello stesso vorticare del tempo perdono i contorni restando semplicemente e dolorosamente vite calpestate e spezzate. 

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