Ecce homo

Mi chiamo Dariusz Zielinski, 50 anni, giornalista.
Cos’è il coraggio ? Me lo sono chiesto tante volte durante tutta la mia vita. Non ho mai trovato una risposta immediata, ma da un momento preciso in poi il senso della parola coraggio ha assunto per me, forse per tutti noi, un significato diverso. E’ diventato un grido di rivolta, il bisogno di alzare la testa ad ogni costo, perchè la storia è fatta di gesti di ribellione, non di acquiescenza. Senza l’energia a volte apparentemente folle della rivolta, di quel gesto che magari può sembrare senza speranza o possibilità di successo, non c’è dignità, ma non c’è soprattutto speranza. Può accadere di perderla la speranza, ma la testa andava alzata. Per questo avevo deciso di non piegarmi ai tedeschi. Avevo deciso che la mia missione di giornalista era un impegno civile prima che professionale. Nel tempo tanti di noi avevano pagato per questa scelta e tanti ancora avrebbero pagato nel futuro, ma documentare i passi della vita e della storia voleva dire avere voglia e forza di cercare, di capire e di battersi. Ad Auschwitz sono arrivato da qualche settimana. Conosco comunque bene questo luogo. E’ una vecchia caserma dell’esercito polacco che i nazisti hanno riconvertito a campo di lavoro, come dicono loro. Ho scritto di questi campi qualche mese fa sul nostro giornale clandestino; lo distribuiamo stampandolo col ciclostile in un laboratorio che cerchiamo di tenere segreto e spostiamo ogni volta che è possibile per non dare riferimenti alla Gestapo.

Da quando il giornale ufficiale è passato in mano ai tedeschi a noi non è restato che entrare in clandestinità. Come noi giornalisti i tedeschi stanno braccando ed arrestando tutti quelli che possono o hanno una qualche posizione di riferimento nella nostra società; docenti universitari, intellettuali, religiosi, sindacalisti, chiunque sia un soggetto pubblico e possa aggregare persone e coscienze è un nemico, un bersaglio. Non importa che sia o meno attivo politicamente o “resistente”, è un bersaglio a prescindere e prima o poi finisce per essere arrestato con la più futile delle motivazioni; nessuno controlla o difende, magari si viene traditi da un amico torturato o da qualche disperato che ti vende per fame o per riavere un parente, un figlio o un padre rinchiuso. Noi polacchi siamo orgogliosi e forti, cerchiamo di resistere il più possibile e non tradire, non piegarci, ma la speranza sembra venire meno ogni giorno di più e finendo rinchiusi qui si finisce per perdere la voglia di lottare perchè ti viene strappata di dosso la voglia di vivere. Ma arriva sempre un momento in cui non si può piegare la testa, non ci si può voltare dall’altra parte e si finisce per fare un passo fatidico. Il mio è stato per salvare un bambino che stava per essere punito per aver rubato del cibo. Quando il primo colpo si è abbattuto sul suo viso non ho resistito e mi sono scagliato contro i soldati. Non hanno perso tempo; mi hanno trascinato nella spianata ed appeso alla rotaia di ferro davanti agli altri reclusi durante la conta. Dopo avermi tenuto così per tutta la durata dell’appello mi hanno impiccato senza una parola, un’accusa: non servivano e così è finita la mia vita, con un senso, in un luogo ed in momento della storia che di sensato non avevano assolutamente nulla. Ma andava fatto. E’ stata follia ? scelleratezza ? coraggio ? non so, forse solo voglia di farla finita, ma di farlo da uomo libero, anche qui, ad Auschwitz.
