Ecce Homo.

Il mio nome è Yusuf, 14 anni calciatore dilettante di Aleppo.
Yusuf sognava senza saperlo.
Stava correndo da Qasim, il suo amico di giochi di sempre, anche se la sera prima avevano litigato, anzi proprio per quello, per fare pace.
Correva ma non sentiva il fiato arrancare nel petto e neppure le gambe pesanti ; negli ultimi tempi spesso non giravano come solito, forse per quei pasti sempre più rari e frugali.
Vedeva Qasim in lontananza .
Sentiva la sua voce chiamarlo forte in un silenzio surreale.
“Yusuf !... Yusuf !...dai vieni fuori!...”
“Yusuf…”
Si era sporto dietro l’angolo sbrecciato e finalmente l’aveva visto.
Ma non c’erano più i detriti e le macerie che da mesi riempivano i suoi occhi ed il suo orizzonte.
Non c’era più la polvere che a tratti oscurava il sole, alzata dalle pale degli elicotteri in ricognizione su quello che restava del suo quartiere.
“Yusuf ! ...dai sfaticato vieni fuori !” continuava ad urlare Qasim.
In verità quello che vedeva ora non era più il palazzo d’angolo nel quale Saddam vendeva da sempre la verdura e Mohammad cuciva vestiti bellissimi.
Non c’era più quello scheletro annerito a stuprare l’orizzonte polveroso.
C’era invece un meraviglioso, lussureggiante, splendido campo da calcio !
L’erba era verdissima, ben curata e brillava in modo innaturale sotto un cielo limpidissimo.
Yusuf avrebbe dovuto capire che tutta quella meraviglia in una vita sciagurata come la sua non era reale.
In tutte le vite di un ragazzino che vive in una città sotto assedio, con i palazzi crivellati dai colpi dell’artiglieria pesante ed il cielo solcato dagli elicotteri da guerra non esistono campi da calcio, non così belli e sotto cieli così limpidi; esistono però i sogni, grandi e formidabili sogni.
Ma Yusuf voleva ardentemente credere che tutto ciò che vedeva fosse vero.
Voleva credere davvero che Qasim fosse davvero là ad aspettarlo appoggiato bighellonando alla porta di quel campo da pallone.
Era così felice !
Finalmente avrebbero potuto tirare due calci ignorando la paura dei cecchini, le raffiche di kalashnikov e la polvere che ti entra nei polmoni.
Era così felice da cominciare a sbracciarsi salutando l’amico ed urlando
“...arrivo Qasim !”
E correva così forte da non sentire il rombo lontano che stava lentamente riempiendo la stanza nella quale era accovacciato.
Il rombo aveva qualcosa di sinistro ma nello stesso tempo famigliare ed aumentava col passare dei secondi.
Poi improvvisamente parve affievolirsi , come se quell’immenso calabrone di ferro si stesse allontanando.
Al suo posto però ora montava un sibilo sempre più forte.
Ma Yusuf era ormai così vicino al campo da sentirne l’odore fragrante!
Ancora due passi ed ecco, ora poteva saggiarne anche la soffice consistenza.
Stava correndo su di un tappeto di nuvole, altro che un campo da calcio!
“Passa ! passami la palla Qasim ! “ urlò mentre si avvicinava al centro del campo.
Quando poggio il piede sul centro preciso ebbe una premonizione, avvertì forte la sensazione che tutto, intorno a lui, stesse colando come un dipinto ad olio su di un muro rovente.
Il cielo azzurro, gli spalti dello stadio, il campo stesso stava colando via lasciando riemergere polvere, mura bruciate, macerie ed un cielo desolatamente nero.
Ora era fermo nel centro del campo ed abbassando lo sguardo a terra, verso quel pò di erba che ancora gli restava sotto i piedi, capì che non stava più al centro di un campo da pallone.
Non c’era più il cerchio perfetto fatto col gesso candido, ma tutto quello spazio era diventato l’immenso cerchio di un bersaglio dove lui era proprio nel centro: lui era il bersaglio.
Il sibilo era fortissimo ora, quasi da costringerlo a mettersi le mani sulle orecchie per proteggerle.
Improvvisamente calò il buio.
L’ultima cosa che vide girando la testa alla sua sinistra fu il viso terrorizzato di Qasim, l’amico fraterno che ora tendeva le braccia che si allungavano in modo innaturale verso di lui quasi a volerlo strappare da quel maledetto bersaglio.
La bomba sganciata dal caccia molte centinaia di metri sopra di lui era entrata al piano di sopra della sua casa diroccata ed ora stava facendo il suo sporco efficientissimo lavoro per il quale era stata concepita e costruita, bomba intelligentissima...
Il campo da calcio era sparito.
La bomba nata nei laboratori dove Hitler progettava le sue incredibili V2, crescendo di laboratorio in laboratorio, dopo avere girato mezzo mondo negli anni, era diventata intelligentissima ed era arrivata sin lì, ad Aleppo, precisa, intelligente e spietata.
I tempi paiono mutare ma il copione resta lo stesso: orrore, morte e qualcuno che lucra sul dolore di tanti.
Ed anche l’indifferenza tutto intorno era la medesima.
Tutti avevano altro da fare, il mondo aveva altro da fare, pochi si sentivano colpevoli e per questo venivano ferisi ; nessuno "credeva", ora come allora , 2016 come 1940.
L'obiettivo non era capirsi, l’obbiettivo era sempre proporre qualcuno da odiare e lasciare che altri facessero i loro affari, qualcun’altro il suo sporco lavoro.
Da Auschwitz ad Aleppo, stesso copione, senza nessuna differenza.
Yusuf ora poteva riposare, accanto ad Aaron , un ragazzino della sua stessa età, molto più magro, entrambi sdraiati su quel sudicio tavolaccio in una baracca di Auschwitz 2.
Yusuf era tornato a casa.